Quanto ne sappiamo sull’inquinamento ambientale dell’industria della moda? I dati raccolti con un questionario rivelano i segreti dietro a questo mondo



Vestirsi è un’azione quotidiana che tutti noi compiamo. Molto spesso, questa semplice azione si ferma nel momento stesso in cui viene svolta. Non si pensa mai a cosa si celi dietro a un capo di abbigliamento e all’industria della moda. Interessati all’idea di capire quale sia il reale impatto ambientale del settore moda, siamo riusciti ad approfondire la questione. A tal proposito, lo scorso dicembre abbiamo assistito in Università di Milano-Bicocca alla conferenza “Fast Fashion and Sustainability”, tenuta da Katia Vladimirova, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Genova.



Tramite una sua presentazione è stato messo in evidenza come la continua produzione del settore moda sia in opposizione alla sostenibilità ambientale. In seguito a questo incontro è nata l’idea di capire quanto davvero si conosca l’argomento. Abbiamo così deciso di creare un questionario. Il tema principale è stato conoscere come si orientano le persone durante l’acquisto di un capo di abbigliamento. In particolare, ci siamo focalizzati sulle modalità di spesa che prediligono, quanto spesso avviene lo shopping e la conoscenza sull’inquinamento causato dall’industria della moda.



Cosa emerge dai primi dati del questionario
I dati di cui già eravamo in possesso parlano chiaro: l’industria della moda è responsabile per il 20% dell’inquinamento delle acque reflue e del 10% delle emissioni di carbonio mondiali. Inoltre è la prima causa della presenza di plastica negli oceani (secondo l’UNECE- commissione economica delle Nazioni Unite). Ma procediamo per gradi.



Abbiamo raccolto le risposte di 211 persone. La maggior parte rientra in una fascia di età tra i 18 e i 24 anni. Tra i primi dati ottenuti, osserviamo che si preferisce acquistare capi di abbigliamentocon una frequenza media in negozi di grandi catene e vicino casa, in una distanza compresa tra i 5- 10 km. Tutto ciò dimostra come soprattutto i giovani si interessano ad un’interazione diretta con la merce che acquistano. Dai successivi risultati emerge che l’acquirente è attento al prezzo, ma anche alla qualità del prodotto che viene scelto seguendo più uno stile personale che un determinato marchio. Molti degli intervistati hanno poi risposto di prestare attenzione all’origine degli indumenti che intende acquistare. Nel contempo sono però disposti a comprare capi a basso costo, prodotti verosimilmente sfruttando i lavoratori.



Il materiale più acquistato è il cotone
Altro punto interessante sono i materiali con cui sono prodotti i capi acquistati: il cotone rimane quello preferito. Non tutti sanno però che questo materiale compie un viaggio molto lungo per arrivare sul nostro mercato. Facciamo un esempio pratico: si è calcolato che un paio di jeans percorrono ben 12.000 km da quando il cotone viene colto sino al suo arrivo finito in negozio. Per produrne un paio vengono impiegati 11.000 litri di acqua. Durante la produzione, si utilizzano insetticidi e pesticidi che nuocciono a uomo e natura.



Per quanto riguarda la consapevolezza dell’acquirente sulla trasparenza dei marchi, i dati emersi sono allarmanti. Molte aziende si dimostrano poco interessate al loro impatto ambientale, che sembra paradossalmente interessare poco anche a chi compra. Un altro fatto interessante è che il 56,9% degli intervistati sostiene di non essersi mai recato in un negozio dell’usato. Tuttavia, lo ritengono utile per ridurre gli sprechi. Purtroppo anche se questo è vero, i dati confermano altro. Solo in Italia, infatti, se 2,2 milioni di indumenti e accessori usati vengono venduti, 70 milioni vengono buttati.
Considerazioni finali



Come si evince dai dati raccolti, il questionario evidenzia chiaramente che chi acquista non conosce le politiche adottate dalle aziende nei confronti dei lavoratori, né sa chi effettivamente realizza i prodotti acquistati. Tuttavia, in molti sarebbero disposti a conoscere le valide alternative – qualora vi fossero – allo sfruttamento di chi lavora nel settore moda.Un’alternativa valida, come lo stesso questionario mette in luce, è il mondo della moda sostenibile, di cui ancora gli intervistati poco conoscono. Compito di chi lavora nel campo della moda è dunque quello di informare ed evolvere in modo da essere utile all’uomo e al pianeta.



Testo e grafici di Sara Biancardi e Paola Parotti
Foto per gentile concessione di “Fotoclub il Sestante” di Gallarate (VA). Tutte le foto sono state scattate sul fiume Arnetta, durante gli anni 70′. Le principali aziende tessili della zona sono state causa dell’inquinamento fluviale, le quali hanno riversato per anni i loro prodotti di scarto.
Bibliografia:
- https://d.repubblica.it/moda/2018/05/03/news/ambiente_quanto_inquina_la_moda_sostenibilita-3961678/
- http://www.repubblica.it/ambiente/2017/03/19/news/la_riscoperta_dei_vestiti_che_durano_una_vita_cambiamoci_di_meno_salveremo_l_ambiente_-160937165/
- https://www.unece.org/info/media/news/forestry-and-timber/2018/fashion-is-an-environmental-and-social-emergency-but-can-also-drive-progress-towards-the-sustainable-development-goals/doc.html
- https://www.riusa.eu/it/notizie/2017-inquinamento-abiti.html
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