Da anni si parla di biocarburanti e del loro ruolo nel sostituire i combustibili fossili. In molto settori sono una realtà, ma a che punto siamo arrivati?
Se aveste perso il conto degli avvicendamenti nel mondo dei biocarburanti, ci teniamo ad avvisarvi che ci stiamo avvicinando ormai a quella che sarebbe la quarta generazione di tali composti. Ebbene si, sono già state ideate, realizzate e sperimentate quattro diverse alternative per ridurre l’utilizzo di fonti energetiche fossili, ognuna nata con l’intento di far fronte ai limiti posti da quella precedente.
Per iniziare dal principio, parliamo della prima generazione.



La prima generazione
La presa di coscienza sulla responsabilità antropica del surriscaldamento dell’atmosfera per via dell’aumento della concentrazione di CO2 (anidride carbonica), e dell’inevitabile e progressivo esaurimento dei giacimenti di petrolio, gas naturale e carbone innescò la ricerca di nuove fonti energetiche.
Fu così che si iniziò a produrre composti di potere calorifico, ovvero che se bruciati liberano grandi quantità di calore da poter essere convertito in lavoro, a partire dai vegetali. In questo modo si poteva avere una fonte rinnovabile (in quanto coltivabile in tempi brevi) e ridurre le emissioni nette di CO2.
Questa prima generazione di composti era rappresentata da etanolo derivato dalla fermentazione di zuccheri di canna, barbabietola e cereali o da oli combustibili derivati dalla coltivazione di piante come la colza, il girasole, piante della famiglia delle brassicacee e le palme da olio.



La seconda generazione
Nonostante i vantaggi in termini ecologici, queste produzioni necessitano di grandi raccolti che vanno in conflitto con la produzione alimentare, dato che si tratta di piante utili per l’alimentazione umana e animale. Per questi motivi, dopo pochi anni si è giunti ad una seconda generazione di biocarburanti ottenuti da biomasse lignocellulosiche: piantagioni di colture legnose ad alto fusto come il pioppo o il salice, con una resa superiore e con utilizzo unicamente energetico e non alimentare. In questo caso però i problemi principali sono due: il processo chimico per separare la parte utile (cellulosa) da quella non utilizzabile (lignina) e proseguire la trasformazione in biocarburante è complesso; inoltre devono essere ottenuti nuovi spazi per alla coltivazione delle piante utilizzate, che vengono sottratti ad ambienti naturali tramite la deforestazione, compromettendo l’ecosistema in questione. Il caso più tristemente conosciuto è quello della deforestazione di vaste aree di bosco tropicale del sud-est asiatico a favore delle piantagioni di palme da olio, che mette a rischio l’habitat naturale dell’Orango.



La terza generazione
Proseguendo, una terza generazione di biocombustibili in cui è stata riposta fiducia è quella delle alghe, che possono essere coltivate in grandi quantità e in varie condizioni (in mare, laghi o fiumi, in particolari bioreattori, vasche ecc.) senza occupare suolo agricolo o vergine. Inoltre, sono in grado di fornire all’industria entrambi i tipi di composti necessari, sia carboidrati che oli.



La quarta generazione e il futuro
Ancora più efficiente da un punto di vista pratico ed economico sarebbe l’utilizzo di microorganismi quali batteri e lieviti bioingegnerizzati, protagonisti di una quartagenerazione, in cui unire i processi di fotosintesi e fermentazione per ottenere da loro il prodotto finale su cui effettuare gli ultimi trattamenti, se non quasi pronto all’uso. In questo modo si potrebbero progettare dei veri e propri bioreattori, macchinari dentro i quali far crescere i microorganismi a cui fornire luce e nutrienti perché possano svolgere la loro funzione di produzione del composto chimico di interesse.
Le ultime due tecniche sono oggetto di studi e sperimentazioni e non sono al momento delle soluzioni consolidate per far fronte alle richieste energetiche crescenti della nostra civiltà, mentre le prime due vengono utilizzate da diversi anni, nonostante i non trascurabili problemi che comportano. Sono inoltre oggetto di ricerca le tecniche relative all’utilizzo di biomasse derivanti da rifiuti e scarti agricoli e zootecnici (produzione di biogas in quelle “cupole” bianche che si vedono ogni tanto in campagna). I biocombustibili rimangono ancora una realtà insignificante di fronte all’utilizzo delle fonti fossili e nuove conoscenze sono continuamente acquisite perché una transizione delle fonti energetiche sia possibile, magari mantenendo i pro ed eliminando i contro di ciascuna generazione precedente, in visione di una quinta che possa concertarle tutte insieme per una soluzione ottimale.
Testo di Filippo Arienta
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