La lentezza come punto di arrivo per un nuovo tipo di turismo: slow tourism, una nuova opportunità per uno sviluppo sostenibile delle destinazioni
Il concetto di lentezza si sta sempre più affermando in un mondo ormai tutt’altro che… slow. Nato principalmente nell’ambito culinario per contrastare il sempre più dilagante fenomeno del cibo fast e di bassa qualità, oggi questa pratica si sta allargando anche ad altri ambiti tra cui il turismo. Per questo motivo parliamo di slow tourism.
Slow è uno stile di vita, slow è un’esperienza vera e propria. Lentezza significa ampliare i sensi, risvegliarli e renderli attivi protagonisti del nostro abitare il mondo. Ogni cosa ha il suo tempo, ogni cosa è un percorso.



Non è importante la meta ma il viaggio
Proprio perché questa linea di pensiero si concentra sul percorso che porta a un determinato risultato, nell’ambito turistico nulla può essere slow per eccellenza se non il cammino. Che siano itinerari naturalistici, religiosi, trekking o altro, prevedono sempre l’utilizzo delle gambe e quindi il coinvolgimento completo del corpo e, di conseguenza, della mente.
In questo modo si esperisce il territorio nella sua vera essenza: assaporando passo dopo passo paesaggi, testimonianze, perdendosi nella comunità locale che è erede di quanto circonda gli occhi del viaggiatore. È un esodo che costringe a entrare in contatto con la diversità per percepirla effettivamente, dove ci si rende conto che “diverso” è importante.



Rispetto per il territorio e rispetto per l’ambiente
Nel cosiddetto modello geoturistico il punto più alto del rapporto fra turista e territorio si raggiunge con la “filia”, ossia l’amore del turista viaggiatore verso il territorio visitato. Una vera e propria adesione verso un comportamento di salvaguardia e a un desiderio di costante ritorno e conoscenza.
Inevitabilmente questo comporta un aumento dell’attenzione verso l’ambiente che è componente basilare del territorio e della comunità che in esso si è formata. Nonché dell’esperienza turistica, grazie alle numerose bellezze che racchiude e alla diversità che protegge. Il codice primario della territorializzazione turistica è infatti l’attrattività. E come può esserci attrattività senza ambiente?
Il turismo dei cammini rappresenta quindi la base migliore per costruire pratiche di turismo sostenibile, ossia che rispetti l’ambiente e le popolazioni locali. In tal contesto, sia il turista che gli attori territoriali, devono entrare nell’ottica che il rispetto e la tutela dell’ambiente sono un aspetto irrinunciabile, lavorando per minimizzare l’impatto ambientale delle strutture e delle attività legate al turismo e destinando parte degli utili alla tutela o riqualificazione del territorio.



Quali possibilità per l’Italia?
Il nostro Paese brilla di territori poco conosciuti e non valorizzati, ma meravigliosi nella loro essenza. Il turismo dei cammini, grazie alle diverse diramazioni che può sviluppare, si presta ottimamente per far emergere realtà più piccole ma ugualmente preziose. Se si considera poi che più del 20% del territorio italiano è area protetta, abbiamo in mano le chiavi per un futuro roseo per l’ambiente e i territori.
Da ciò possono derivare diversi tipi di valorizzazione per il Bel Paese: gastronomica, ambientale, culturale. Dalla biodiversità base dell’attrattiva italiana al patrimonio materiale, il nostro fiore all’occhiello.
«Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria assenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena partecipazione di tutti i sensi. Camminare è vivere attraverso il corpo, per breve o per lungo tempo»
(David Le Breton)
Giada Abbiati
Bibliografia:
- A. Turco, Configurazioni della territorialità, Franco Angeli, 2010
- V. Bettini, La Via Francigena in Europa, Aracne editrice, 2015
- D. Le Breton, Elogio alla marcia, Feltrinelli, 2013
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