“Quale futuro per il nostro mare?” è la domanda centrale della conferenza dedicata agli effetti dell’inquinamento sugli ecosistemi marini
Nell’ambito del National Geographic Festival delle scienze – svoltosi in questi giorni a Roma – non poteva mancare una conferenza sul tema dell’inquinamento marino, dal titolo “Quale futuro per il nostro mare”. In questa occasione (12 aprile 2019) tre giovani biologi marini italiani, vincitori di altrettante borse di studio finanziate da National Geographic, hanno esposto i risultati dei propri lavori di ricerca, discutendo le tematiche con il pubblico, nella Sala Petrassi dell’Auditorium.



Martina Caprotti e l’analisi chimica delle microplastiche
La prima a presentare il proprio lavoro è stata la giovane Martina Capriotti. La ragazza, che ha svolto i suoi studi nelle Marche, racconta di aver investito i fondi della borsa di studio di National Geographic in attività di raccolta ed analisi delle microplastiche nel Mar Adriatico.
Le microplastiche, ovvero residui di rifiuti di plastica dal diametro inferiore a 5 mm, sono trasportate dalle correnti marine e, contrariamente a quanto si pensi, influenzano anche gli ecosistemi terrestri. La biologa informa, infatti, del ritrovamento di residui di microplastiche nell’organismo di alcuni insetti, oltre che in numerose specie marine che arrivano nei nostri piatti.



Mediante un apposito retino, Martina ha raccolto personalmente campioni di microplastiche, analizzando la composizione chimica in laboratorio. La ricercatrice ha individuato le varie forme con cui si presentano questi residui, alcuni dei quali appaiono in forma filamentosa, e si è focalizzata sui legami chimici che si instaurano tra essi e i vari composti contenuti in prodotti come pesticidi e battericidi.



Arianna Mancuso e gli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini
La parola passa poi ad Arianna Mancuso, ecologa marina dell’Università di Bologna. Dopo aver studiato le specie marine di interesse commerciale, si è concentrata sull’analisi degli effettidei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento di 1°C della temperatura globale, stima che arriverà a toccare i 5°C entro il 2100.
Un aumento della temperatura terrestre e una variazione dell’acidità dei mari sono conseguenze dirette delle emissioni di CO2 nei processi di combustione. A contatto con l’acqua, l’anidride carbonica forma Monossido di Carbonio (CO), liberando ioni H+, responsabili della variazione del ph marino.



I prodotti di queste reazioni chimiche influenzano i processi di formazione delle strutture scheletriche di molte specie marine, come l’osso interno di molluschi cefalopodi e gli aculei dei ricci di mari, composti da Carbonato di Calcio.
Inoltre Arianna ha voluto studiare il modo in cui la formazione delle strutture calcificate di questi organismi viene influenzata dai cambiamenti climatici. Per questo motivo il suo progetto si è svolto in un sito marino unico al mondo situato in un cratere sottomarino dell’isola di Panarea.



Giovanni Chimienti e gli studi sui coralli neri
L’ultimo a presentare il proprio progetto di ricerca durante la conferenza “Quale futuro per il nostro mare?” è stato il biologo marino e subacqueo pugliese Giovanni Chimienti, che ha scelto di dedicarsi allo studio dei coralli neri.



Questi cnidari devono il proprio nome al colore della struttura interna, che si rivela solo al momento della morte dell’individuo. Il ricercatore in primo luogo ha elencato le tre maggiori cause del degrado degli ecosistemi marini. Il primo è l’inquinamento da rifiuti di plastica, che si depositano sui fondali.
Il secondo è il fenomeno delle reti fantasma (ghost nets), che causano la morte per soffocamento di varie specie marine; e infine i cambiamenti climatici. Proprio questi ultimi sono la causa della moria di coralli, fenomeno in rapidissima crescita.
Così la sua attività di ricerca è stata accompagnata dalla realizzazione di un documentario intitolato “I corsi neri delle Isole Tremiti”, ambientato nel rinomato arcipelago pugliese
Testo di Gloria Scisciani
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