Una recente scoperta ha riempito i ricercatori di speranza: la tarma da cera che si nutre di plastica come arma di inquinamento



I dati allarmanti della plastica sono ormai conosciuti: il più importante è che solo il 20% della plastica prodotta è stato riciclato o smaltito. Solo nel Mediterraneo, segnala Lifegate, finiscono 750 tonnellate di plastica ogni giorno di cui 90 tonnellate nei mari italiani.
Eppure, la piccola ed innocua tarma da cera sembrano essere la soluzione finale contro questo problema. Lo saranno davvero?
La scoperta
Rimanendo in area mediterranea e italiana, la scoperta puramente casuale viene proprio da una biologa italiana: Federica Bertocchini si occupa di biologia dello sviluppo ed è affiliata al Cnr spagnolo e in forza all’Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander.
La passione per l’apicoltura l’ha portata, nel 2017, a venire a conoscenza della potenzialità di queste larve parassite che comunemente infestano le arnie degli alveari. Nella fase di pulizia, Federica Bertocchini ha buttato queste tarme da cera in una borsa di plastica, per poi ritrovarsele sparse qualche ora dopo per tutta la stanza: avevano bucato la borsa mangiandola!



L’esperimento
Collaborando con gli scienziati Paolo Bombelli e Chris Howe dell’Università di Cambridge, la biologa italiana ha dato inizio ad esperimenti più approfonditi.
Dallo studio è emerso che circa 100 di questi lepidotteri a contatto con dei sacchetti di plastica creano in 40 minuti i primi fori, e in meno di 12 ore divorano 92 milligrammi di polietilene. Questa ricerca dimostra anche che il processo non è riconducibile alla semplice masticazione, ma le larve ricorrono allo stesso enzima utilizzato per mangiare la cera d’api, avendo essa stessa una struttura chimica simile a quella del polietilene (plastica).
Come utilizzarle?
L’intento degli scienziati non è impiegare in prima linea la tarma da cera (Galleria mellonella), poiché è comunque un parassita e l’equilibrio ecosistemico non va in alcun modo alterato. L’intenzione è quella di comprendere al meglio la molecola dell’enzima utilizzato dalle larve, isolarla ed essere in grado di riprodurla in laboratorio così da impiegarla successivamente su larga scala.
La buona notizia, comunque, è che esistono altri tipi di esseri viventi in grado di mangiare la plastica anche se ad un ritmo più lento: delle larve appartenenti ad un’altra specie di lepidottero in grado di degradare il PE scoperte da ricercatori americani e cinesi e dei batteri, scoperti invece da dei giapponesi, in grado di degradare il PET.
Questo sta a significare che il campo di studio è ampio e da esplorare, con possibili esiti molto positivi per le sorti ambientali ormai soffocate dalla morsa ferrea della plastica. Fino ad allora non bisogna comunque mollare la presa sulle misure di riduzione della plastica che di certo non aspetta un miracolo scientifico per smettere di inquinare terra e mare (leggi altri articoli sul mare).



Testo di Giada Abbiati
Bibliografia:
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