Dalle profondità allo Stretto di Messina: ecco come si presentano i pesci abissali, da sempre protagonisti di figure mitologiche antiche
Nascosti nelle profondità di molti mari, vivono pesci abissali dall’aspetto bizzarro. Denotati da una bellezza mostruosa, capita talvolta che risalgano dagli abissi…alla spiaggia!
Lo Stretto di Messina: dal mito al cuore pulsante del «paradiso degli zoologi»
Presenti in molti mari, questi affascinanti mostri abissali sono stati rinvenuti e studiati sulle spiagge reggine e messinesi, proprio a causa delle peculiarità del luogo.
Lo Stretto di Messina è caratterizzato da una particolare geomorfologia e da correnti tali da generare imponenti fenomeni di upwelling (risalita di acque profonde). Uniti ai venti, favoriscono lo spiaggiamento di questi pesci sulle coste calabresi (quando soffia il Maestrale) o sulle coste messinesi (quando soffialo Scirocco). Lo spiaggiamento è coadiuvato dalle migrazioni nictemerali (dal greco νύξ «notte» e ἡμέρα «giorno»), spostamenti ciclici giorno/notte lungo la colonna d’acqua, compiuti principalmente per alimentarsi. Tali caratteristiche rendono proprio lo Stretto un’entità viva e pulsante, che viene così definita dagli studiosi come «il paradiso degli zoologi».



Gli adattamenti morfologici dei pesci abissali alla vita negli ambienti profondi li rendono assolutamente particolari. Essi hanno ispirato gli antichi nell’ideazione di figure mitologiche per i loro racconti, fra cui anche l’Odissea. Il mito di Scilla e Cariddi è la raffigurazione di ciò che avviene nello Stretto di Messina. Il mostro di Scilla eredita la sua forma proprio da un pesce abissale, mentre Cariddi con i suoi gorghi generati dalle correnti inghiotte le mortifere onde del mare.
La dura vita nell’oscurità: fare di necessità virtù
Dimentichiamoci delle sinuose forme e dei brillanti colori tipici dei pesci a cui siamo abituati. L’ambiente in cui vivono i pesci abissali è molto ostile: elevate profondità (a partire da 200m), oscurità e alte pressioni hanno portato questi animali ad adattamenti unici. A certe profondità il colore non è più una necessita. Infatti, tutti i pesci abissali presentano una cromia sul nero o talvolta sono completamente privi di pigmentazione.






Comunicare con la bioluminescenza
I pesci abissali sfruttano l’oscurità per comunicare fra conspecifici, per avvisare di un pericolo o anche per «mimare» la flebile luce proveniente dalla superficie. In tal modo, appaiono invisibili al predatore. Il comportamento avviene grazie a segnali luminosi autonomamente prodotti grazie a particolari strutture epidermiche, dette fotofori, disposte soprattutto nelle zone ventrali del loro corpo. Questi organi sono ricchi di speciali cellule fotoemittenti o caratterizzati dalla presenza di particolari batteri luminosi. In entrambi i casi si parla del fenomeno della bioluminescenza. Non sarebbe nemmeno troppo sbagliato interpretare poeticamente i pesci abissali come le stelle del nero cielo abissale.






Per poter captare i segnali bioluminescenti, hanno bisogno di occhi estremamente sensibili. Questi ultimi sono caratterizzati da misure degne di nota (in rapporto con le dimensioni del corpo). Un esempio è Argyropelecus hemigymnus (dal greco «[pesce] accetta d’argento mezzo nudo») che presenta occhi telescopici e fondi oculari ricchi di guanina che consente di amplificare la timida luce in entrata. La bioluminescenza è anche sfruttata per la predazione. Il pesce vipera, per esempio, crea un’esca luminosa per attrarre le prede.






Il tipo di alimentazione
L’alimentazione è indirizzata a una predazione o all’ingestione di materiale organico proveniente dall’alto. In relazione a ciò, si può riscontrare uno sviluppo più o meno importante della bocca. C’è chi la adatta all’aspirazione della preda come in A. hemigymnus, piuttosto che al morso. Tra questi anche i denti di Chauliodus sloani (dal greco «con la bocca dentata aperta»), non propriamente adatti alla masticazione, ma trattiene la preda prima di ingerirla. I target alimentari di questi predatori sono crostacei planctonici o altri pesci che si trovano a passare nel loro raggio di azione.









Nel 1979 Goya partoriva l’opera «Il sonno della ragione genera mostri», e probabilmente nessun altro titolo meglio si presterebbe ad essere riadattato in questo caso. Ciò che appare orrido, pauroso, alieno, ripugnante ha solo necessità di essere conosciuto. Grazie ai nuovi studi, oggi è possibile studiare anche in modo approfondito i pesci pelagici, e non più considerarli delle leggende mitologiche.
Testo e foto di Emanuele Asciutto
Copertina di Umberto Procopio
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