Lo scioglimento del permafrost rischia di accelerare il cambiamento climatico e di portare alla rivalutazione di alcuni modelli climatici
Gli incendi che hanno riguardato le regioni dell’Artico, Siberia e Canada, sono stati di una gravità che lascia senza parole. E non è un’esagerazione. Le motivazioni sono diverse e riguardano tanto la biodiversità (fauna e flora) quanto gli effetti sul cambiamento climatico e il permafrost. Quest’ultimo è una variabile importante per i cambiamenti climatici globali. Infatti, il World Meteorological Organization – WMO (l’organizzazione meteorologica mondiale) ha inserito la temperatura del permafrost e il suo strato attivo tra le “Essential Climate Variables” (ECV).



Che cos’è il permafrost?
Con il termine permafrost si intende una particolare condizione termica del sottosuolo. Questa è molto diffusa nei climi freddi che caratterizzano le regioni Artiche, Antartiche ed Alpine (circa il 25% della superficie terrestre). Il permafrost include terreno, detriti, rocce e qualsiasi altro tipo di substrato che rimane congelato per almeno due anni consecutivi.
Come abbiamo visto in precedenza, il permafrost ha degli effetti sul clima ma ne è a sua volta influenzato. Altri fattori che ne caratterizzano l’entità sono la superficie topografica e la natura del substrato. ARPA ha avviato degli studi per quanto riguarda il permafrost montano che hanno permesso la realizzazione di un database.



La correlazione con gli incendi nell’Artico
Nelle stagioni più secche e calde, i giornali ed i telegiornali di tutto il mondo hanno messo in evidenza il numero di incendi che stanno letteralmente bruciando la Terra. Le cause di questi roghi, nel corso degli ultimi anni, sono state diverse e, purtroppo, talvolta sono state segnalati casi dolosi ma emerge un dato rilevante soprattutto dai roghi più recenti: ovvero la persistenza di temperature anormalmente alte e secche.
“Gli studi più recenti basati sulle proiezioni climatiche indicano un potenziale forte aumento della siccità estiva e di conseguenza dell’area bruciata nei prossimi decenni, se non saranno ulteriormente incrementate le misure di controllo – ha spiegato in un’intervista per National Geographic Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di Geoscienze e Gerisorse del CNR – L’Artide, in particolare, è una regione che funge da sentinella dei cambiamenti, dove tutto è accelerato. Sono appena tornato dalla base italiana alle Svalbard, la stazione Dirigibile Italia del CNR, ed è impressionante constatare il rapido arretramento dei ghiacciai artici da un anno all’altro, le alte temperature e lo scongelamento del permafrost: il suolo, un tempo perennemente ghiacciato dell’Artide, ultimamente viene chiamato, con una battuta crudele, il perma-defrost. E quanto succede in Artide non rimane confinato, ma gli effetti si propagano alle medie latitudini attraverso la circolazione atmosferica e marina e, nel caso di rilascio di metano dal permafrost, a scala globale“.



Mentre gli incendi divampavano, il permafrost ha cominciato a sciogliersi (in realtà era sotto monitoraggio da tempo ma nell’ultimo periodo la situazione ha mostrato segni più evidenti). Con il suo scioglimento vengono immesse in atmosfera enormi quantità di metano (“intrappolato” nel sottosuolo), un potente gas serra.
Seguono ulteriori approfondimenti.
Articolo scritto da Emmanuele Occhipinti
Fonti:
- National geographic (http://www.nationalgeographic.it/)
- Wired (https://www.wired.it/)
- Cnr (http://artico.itd.cnr.it)
- arpa valle d’aosta (http://www.arpa.vda.it/it/)
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