Le 5 scoperte scientifiche in ambito naturalistico davvero strabilianti in questo 2020
Il 2020 è stato un anno particolarmente tosto. Nonostante la pandemia globale, nel mondo delle scienze naturali ci sono state alcune scoperte scientifiche davvero strabilianti. Ve ne elenchiamo cinque, una più bella dell’altra.
1. Scoperta una barriera corallina alta 500 metri
La notizia più bella per gli appassionati di biologia marina: durante una spedizione scientifica dello Schmidt Ocean Institute, un ente di ricerca, ha scovato una barriera corallina alta circa 500 metri a nord-est dell’Australia. Nella regione di studio, si conoscevano altre 7 formazioni coralline a torre. Guardando i primi video, gli ittiologi hanno già rinvenuto delle nuove specie. Sono stati poi raccolti alcuni campioni di roccia per poter essere studiati in modo approfondito.
Ecco il video della scoperta scientifica:
2. L’antico cranio di Homo erectus
Durante una ricerca di fossili nella miniera di Drimolen, Jesse Martin e Angeline Leece ritrovano i resti di un cranio. È il 2015 e i due studiosi si trovano a Johannesburg, in Sudafrica. Inizialmente, pensarono che il ritrovamento appartenesse ad un cranio di babbuino, ma in realtà sono degli antichi resti di un cranio di Homo erectus. Come è scritto nell’articolo pubblicato quest’anno su Science, i resti risalgono alla specie umana vissuta tra 2 milioni di anni fa, la prima a diffondersi dall’Africa all’Asia. Si tratta di una scoperta scientifica importante in quanto si inserisce un altro tassello nella storia dell’evoluzione umana.



Fotografia del cranio realizzata da Jesse Martin, Reanud Joannes-Boyau e Andy I. R. Herries / @Science
3. Una nuova specie di ctenoforo vicino Puerto Rico
Le spedizioni in fondo al mare del team di ricerca del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) ci stupiscono ogni volta. Dopo l’esplorazione dei fondali al largo di Puerto Rico nel 2015, gli scienziati sono riusciti a immortalare, tramite foto e video, molte nuove specie. Tra queste anche Duobrachium sparksae, uno ctenoforo osservato circa a 4000 metri di profondità.
Tutto questo è stato possibile grazie alle riprese del ROV, ovvero del Remotely operated underwater vehicle, un veicolo sottomarino telecomandato che permette di esplorare anche i luoghi più remoti del nostro Pianeta. Ancora una volta le nuove tecnologie scientifiche ci rende consapevoli su quante scoperte scientifiche abbiamo da fare nel mondo sommerso.



immagine dello ctenoforo ripreso dal ROV del NOAA
4. Il primo embrione di tirannosauro
Nel 2018 all’Horseshoe Canyon in Alberta, Canada, è stato riportato alla luce un artiglio di un piede di tirannosauro e nel 1983 una mascella inferiore nella regione del Two Medicine, in Montana. Da questi resti, datati tra 71 e 75 milioni di anni fa, si è riuscito a capire che si trattavano di due giovani tirannosauri che ancora non si erano liberati dei loro gusci.
La scoperta scientifica, di cui potete trovare il dettaglio nell’articolo di National Geographic, è stata presentata durante l’incontro annuale della Society of Vertebrate Paleontology. Il paleontologo dell’Università di Edimburgo Gregory Funston si è occupato dello studio quando ancora era studente all’università di Alberta. Dopo una ricostruzione dettagliata della mandibola embrionale in 3D si è poi riusciti a capire di cosa si trattasse veramente.
5. La fotosintesi artificiale contro il cambiamento climatico
Esistono delle alternative alle fonti fossili? La risposta è sì e si possono sfruttare energia solare, anidride carbonica, acqua e scarti di biomassa. Parliamo del progetto dell’Università Alma Mater di Bologna chiamato CONDOR (COmbined suN-Driven Oxidation and CO2 Reduction for renewable energy storage).
Il dipartimento di Chimica universitario sta realizzando un dispositivo in grado di produrre fotosintesi artificiale, per mitigare il cambiamento climatico. Riducendo l’anidride carbonica, utilizzata come partenza nella reazione della fotosintesi, si producono combustibili come per esempio il metanolo, e si riduce così l’utilizzo degli altri combustibili fossili.
Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020. Oltre all’università bolognese anche l’Università di Ferrara, l’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del CRN (CNR-ISOF-Bologna), ICIQ – Institut Català d’Investigació Química (Spagna), la Utrecht University (Paesi Bassi), Laborelec (Belgio), la University of North Carolina (USA) e tre aziende europee (ENGIE, HyGear e Amires), che si occupano dello sviluppo tecnologico del dispositivo oltre che della disseminazione dei risultati.
Rispondi