La COP26 di Glasgow giunge al termine: è stato trovato l’accordo tra i quasi duecento Paesi partecipanti, anche se è meno incisivo di quanto atteso.
La COP26 di Glasgow non era iniziata nel migliore dei modi ma, alla fine, i rappresentanti dei Paesi che vi hanno preso parte hanno trovato un accordo. È stato raggiunto un punto di incontro per quanto riguarda lo stop dell’utilizzo del carbone, anche se l’accordo finale è più blando di quanto ci si sarebbe aspettato.
Il destino del carbone
Il tema della dismissione delle centrali a carbone è comparso per la prima volta nella storia dei trattati sui cambiamenti climatici. Inizialmente l’intenzione era quella di abbandonare completamente l’utilizzo del carbone come fonte di energia, ma il blitz di Cina e India ha cambiato le sorti di questo combustibile fossile. Infatti, invece dell’abbandono totale, il documento finale della COP26 parla di “progressiva riduzione“.
Rimangono vaghe anche le misure da adottare per dismettere le centrali a carbone e fermare i sussidi pubblici ad esse dedicati. Come anticipato nel primo articolo conclusivo della COP26, dalla prima bozza è stato tolto lo stop totale dei sussidi pubblici rivolti alle centrali a carbone. Questo paragrafo è stato sostituito e saranno congelati solo i sussidi ritenuti “inefficienti”.
Ridurre le emissioni
Alla fine il documento conclusivo della COP26 parla di ridurre del 45% le emissioni di gas serra entro il 2030, fino ad arrivare alla neutralità del carbonio entro la metà del secolo. Una soluzione che non soddisfa tanti, anche tra gli stessi rappresentanti dei Paesi. Per questo motivo il capitolo della riduzione delle emissioni in atmosfera dei gas serra è tutt’altro che chiuso: l’impegno è quello di aumentare gli sforzi e di affrontare nuovamente l’argomento nel 2022.
Per la prima volta è stato riconosciuto il risarcimento ai Paesi che subiscono dei danni provocati e verificati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Dal 2025 sarà messo a disposizione un trilione di dollari per il risarcimento. Rimane confermata la volontà di fare il possibile per evitare di andare oltre a 1,5 gradi di innalzamento della temperatura globale.
I commenti dopo la COP26
«Non è un compromesso annacquato, dovevamo portare a bordo tutto il mondo, più di 195 Paesi, con un accordo che doveva tenere la barra a 1,5 gradi il riscaldamento globale e non a 2: India e Cina hanno posto sostanzialmente un veto, hanno chiesto un alleggerimento di una condizione che, posso garantire, è abbastanza marginale, però questo ci ha consentito di averli a bordo nella Cop che adesso ha sancito le regole di trasparenza e implementazione per quello che faremo nei prossimi anni. Io non sono soddisfattissimo, però mi rendo conto che con queste dimensioni a questi livelli, purtroppo il compromesso è parte del mestiere. Qui non si tratta di tecnica, ma di diplomazia». Queste sono le parole del Ministro italiano alla Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, riportate da Rai News.
Critica anche la posizione dell’attivista Greta Thunberg che su Twitter ha commentato: «La Cop26 è finita. Ecco un breve riassunto: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da questi saloni. E noi non ci arrenderemo mai, mai».



Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica (Foto tratta da https://www.governo.it/en/media/cop-26-world-leaders-summit/18446)
Alcune considerazioni
La transizione ecologica è sicuramente complessa. Nessuno però toglie la sensazione che prevalgano le parole piuttosto che i fatti quando si parla di clima e ambiente. Mentre si dice una cosa, nel concreto se ne fa un’altra, o si fa poco. Come faceva presente un giornalista de La Repubblica parafrasando una celebre frase, la transizione ecologica non sarà un pranzo di gala. Il climatologo Luca Mercalli ha dichiarato a Fanpage: «non c’è nessuna compatibilità tra la crescita economica e la lotta al cambiamento climatico. Lo sappiamo da 50 anni. Serve un nuovo paradigma».
Primi ministri e capi di Stato devono prendere decisioni difficili. Probabilmente si sentono “tirare la giacca” in due direzioni: da una il benessere e lo sviluppo di chi li ha votati, dall’altra l’impossibilità di negare l’evidenza della crisi ambientale e climatica. E quindi, il rischio è quello che ognuno vada per la propria strada o si cerchi una via di mezzo che possa accontentare tutti, o meglio, scontentare tutti.
Ma voi cosa fareste al loro posto? Non si può attendere dall’alto il cambiamento che serve per superare la crisi ambientale. Dobbiamo essere noi i primi a dimostrare che siamo pronti al cambiamento attraverso azioni concrete. Così i governi saranno legittimati a prendere decisioni più incisive e radicali sulle tematiche ambientali. E a quel punto non avranno davvero più giustificazioni e si potranno evidenziare i “bla bla bla” denunciati comprensibilmente da Greta Thunberg.
Copertina: Ministero della Transizione Ecologica
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